Cadmio

Il cadmio è un metallo pesante che si trova nell’ambiente e che può accumularsi in animali e vegetali. È cancerogeno, con effetti di tossicità soprattutto a livello renale, e per questo monitorato costantemente nei cibi che più veicolano questo rischio.

I metalli pesanti rappresentano uno dei rischi alimentari più importanti per i consumatori. Rientrano nella categoria del rischio chimico e il loro accumulo nell’organismo può determinare effetti dannosi per la salute umana nel lungo periodo. Uno di quelli più problematici è il cadmio, che viene classificato come cancerogeno, con effetti di tossicità soprattutto a livello renale, e per questo monitorato costantemente nei cibi che più veicolano questo rischio.

Ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie hanno condotto uno studio (RC 20/11) per stimare il livello di rischio di esposizione al cadmio dei consumatori italiani che seguono due principali regimi alimentari: la dieta onnivora/mediterranea e la dieta vegana. I risultati sono stati confrontati con i livelli di assunzione massimi tollerabili stabiliti a livello europeo e con il livello di esposizione stimato per il consumatore europeo (EFSA, 2012).

Dal confronto con i dati europei è emerso che la dieta mediterranea esporrebbe il consumatore italiano a un livello di cadmio maggiore rispetto alla popolazione europea generale, mentre i vegani sarebbero più esposti rispetto ai consumatori onnivori.

Il condizionale è d’obbligo perché il modello di esposizione al rischio elaborato dai ricercatori ha utilizzato diete costruite sulla base di linee guida definite a livello internazionale e rese il più possibile coerenti con le abitudini del consumatore italiano medio.

Esposizione al rischio da cadmio

Alimenti vari di una dieta

L’esposizione al rischio da cadmio dipende da due fattori: 1) la quantità di cadmio riscontrabile negli specifici alimenti consumati; 2) la quantità consumata degli stessi alimenti. Queste considerazioni vanno poi valutate anche in base alle capacità fisiologiche di assorbimento di ciascun individuo.

Il cadmio è un contaminante ambientale, si trova nell’aria, nell’acqua e nel suolo, e come tale può accumularsi in vegetali e animali, che poi finiscono sulle nostre tavole.

La presenza di questo metallo pesante rappresenta quindi un problema di sicurezza alimentare, correlato non solo alla tipologia degli alimenti ma anche alla quantità che viene consumata. Infatti, se alcuni alimenti sono di per sé più “a rischio” di altri, poiché tendono ad  accumulare più cadmio (cereali, vegetali a foglia larga, patate, molluschi bivalvi), è altrettanto vero che la quantità di prodotto consumata incide sull’esposizione del consumatore a questo pericolo.

L’esposizione al rischio dipende quindi sia dalla quantità di pericolo riscontrabile negli alimenti che dalla quantità di alimenti consumata. In altre parole, se un alimento non viene quasi mai consumato, pur contenendo elevate quantità di cadmio, il contributo di tale alimento all’esposizione potrebbe essere insignificante; viceversa, se un alimento poco contaminato viene consumato in dosi massicce, l’esposizione potrebbe non essere trascurabile. Queste considerazioni vanno poi valutate anche in base allo stile alimentare e alle capacità fisiologiche di detossificazione di ciascun individuo.

Negli ultimi quattro anni  sono stati emanati due regolamenti comunitari (Reg. 420/2011/CE e Reg. 488/2014/CE) che fissano i limiti massimi di cadmio consentiti negli alimenti, e delle opinioni scientifiche (EFSA 20092011) che definiscono e confermano il limite di assunzione settimanale ammissibile ponendolo pari a 2,5 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo (1 µg = 1 miliardesimo di kg).

Cadmio negli spinaci e nel riso

Nello studio è stato esplorato il contributo all’esposizione di due alimenti in particolare, entrambi noti per la tendenza a essere contaminati con livelli non trascurabili di cadmio, e il cui consumo non è da considerarsi insignificante: gli spinaci, come rappresentativi degli ortaggi a foglia larga, e il riso. Entrambe sono produzioni importanti a livello nazionale (il riso sicuramente è un prodotto di punta in Veneto) e certamente presenti sia nelle diete mediterranea che vegana.

Cadmio nel riso e negli spinaci

Una ricerca IZSVe ha esplorato il contributo all’esposizione al rischio fornito di due alimenti in particolare: gli spianci e il riso. Le analisi questi alimenti, campionati presso produttori del Veneto, hanno confermato che le quantità di cadmio nel prodotto crudo in questa regione rientrano nei limiti fissati dai regolamenti comunitari.

Le analisi questi alimenti, campionati presso produttori del Veneto, hanno confermato che le quantità di cadmio nel prodotto crudo rientrano nei limiti fissati dai regolamenti comunitari.

I bassi livelli di contaminazione in spinaci e riso (compreso riso integrale) sono indice di una zona geografica scarsamente inquinata da metalli pesanti. Per la rilevazione del cadmio sono stati messi a punto metodi analitici in spettrometria in assorbimento atomico.

L’azione della cottura

Un aspetto particolarmente interessante preso in considerazione dai ricercatori è stata l’azione della cottura, per osservare eventuali variazioni dei livelli di cadmio nel prodotto.

Per quanto riguarda il riso – alimento da consumare cotto – è stato osservato che nessuna modalità di cottura (riso bollito o risotto)  influenza il livello di cadmio nell’alimento pronto per essere consumato.

Anche negli spinaci la bollitura non determina una riduzione della quantità di cadmio nell’alimento; in questo caso però l’entità della porzione raccomandata varia a seconda che sia previsto un consumo di spinaci cotti o crudi (porzione ideale pari a 200 gr. nel caso del cotto e a 80 gr. nel caso del crudo); di conseguenza è la preferenza del consumatore a pesare sul contributo di questo alimento all’esposizione.

Modelli matematici di esposizione al rischio

Cadmio negli alimenti, quale rischio?

La ricerca IZSVe ha stimato inoltre il livello di rischio di esposizione al cadmio di consumatori italiani che seguono due principali regimi alimentari: la dieta onnivora/mediterranea e la dieta vegana. Il modello proposto ha permesso di evidenziare una maggiore criticità per i consumatori vegani per quanto riguarda l’esposizione al cadmio.

Lo studio ha permesso di definire un modello di esposizione per la stima dell’esposizione settimanale al cadmio di un consumatore adulto, da cui si evince che, in generale, il consumatore vegano è teoricamente esposto ad un livello maggiore di cadmio.

Va precisato che avere a disposizione strumenti in grado di stimare quanto e come le persone sono esposte a questa tipologia di rischio è di assoluto interesse sanitario. Tali strumenti possono essere di diversa natura: si può determinare quanto viene consumato di questo o di quell’alimento e calcolare la probabilità di accumulare cadmio nell’organismo; oppure potrebbe bastare analizzare quanto quell’alimento viene evitato ritenendolo contaminato.

Se questi strumenti possono avere una validità per lo stile alimentare individuale, volendo estendere queste considerazioni a gruppi o categorie, bene si prestano sistemi di analisi di tipo matematico, orientati a studiare l’esposizione al rischio attraverso l’impiego di modelli, che per funzionare hanno bisogno innanzitutto di dati in ingresso per la costruzione del modello stesso, e successivamente di essere sperimentati.

Il modello qui elaborato stima i livelli di esposizione utilizzando i dati (in ingresso) dei livelli di cadmio negli alimenti che compongono le due diete. Essi derivano principalmente dall’attività delle unità operative coinvolte nello studio e quindi sono riferibili ad alimenti prodotti e/o commercializzati sul territorio nazionale.

I dati sui consumi utilizzati nei modelli si riferiscono a una dieta “ideale”, in cui il numero di porzioni (minimo e massimo) settimanali e la quantità di alimento per porzione si rifanno a indicazioni fornite da specifiche linee guida (“piramide alimentare” per la dieta mediterranea moderna, III Conferenza Internazionale CIISCAM, Parma 2009; “piramide per vegetariani”, modificata per vegani, Venti e Johnston 2002; LARN 2013).

Non si tratta quindi di consumi reali ma di ciò che dovrebbe essere idealmente consumato da chi segue una dieta mediterranea o vegana. Inoltre, la scelta degli alimenti che compongono le diete, ovvero la preferenza di un alimento rispetto a un altro all’interno della stessa macro-categoria (es: verdura), si è basata su dati provenienti dall’indagine nazionale sui consumi alimentari dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN-SCAI 2005-06) per la dieta mediterranea, e su dati di una precedente ricerca (RF/2010) per la dieta vegana.

La porzione attribuita a ciascun alimento è stata posta pari al valore indicato dalle linee guida in caso di consumo esclusivo di quell’alimento, all’interno della categoria considerata; ovviamente, se per esempio il pasto prevede il consumo di spinaci e altri ortaggi, presumibilmente le porzioni singole andranno ridotte.

Il modo di definire il dato sui consumi è determinante per la coerenza del modello alla realtà. L’utilizzo di dati poco robusti, o comunque non coerenti con la realtà, potrebbe portare a una sovrastima che andrebbe aggiustata con dati dettagliati sui consumi della popolazione di riferimento.

Il modello proposto ha permesso di evidenziare una maggiore criticità per i consumatori vegani per quanto riguarda l’esposizione al cadmio. Le linee guida per una sana alimentazione andrebbero quindi strutturate non solo pensando ai valori nutrizionali, ma secondo un approccio olistico “rischio-beneficio” in cui i anche i rischi chimici dovrebbero essere debitamente considerati.

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