Anche la puntura di zanzara tigre ha i suoi aspetti positivi. La risposta immunitaria dell’uomo alla sua puntura può essere infatti un indicatore affidabile per monitorare la variazione temporale e/o spaziale dell’esposizione umana a questo insetto. Lo conferma uno studio italiano pubblicato sulla rivista Frontiers cui hanno partecipato anche i ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe).
Quando un’arbovirosi viene introdotta in un Paese tramite persone infette, è necessario mettere in atto le misure di controllo tanto più velocemente ed estesamente quanto più è elevato il rischio di trasmissione zanzara-uomo. L’entità di questo rischio dipende da diversi fattori, alcuni più facilmente misurabili, altri meno, ovvero:
- la stagione (le zanzare devono essere presenti e numerose quando si verificano i primi casi);
- la densità abitativa della zona colpita;
- la densità della zanzara tigre (il numero di insetti presenti rapportato all’estensione della zona interessata);
- il tasso di esposizione della popolazione alla puntura (quanto una persona viene punta dalla tigre).
Quest’ultimo fattore è il più difficile da calcolare e da introdurre nei modelli predittivi che studiano la diffusione delle arbovirosi. Studi recenti sulle proteine salivari di artropodi che si nutrono di sangue, come la zanzare, hanno però fornito una prova preliminare che la saliva delle zanzare riesca a stimolare l’attività del sistema immunitario umano, aprendo la strada all’utilizzo di questo materiale biologico per valutare la diffusione dell’esposizione umana alle punture dell’insetto.
Lo studio coordinato dall’Università La Sapienza di Roma, a cui ha partecipato anche il Laboratorio parassitologia, micologia ed entomologia sanitaria (SCS3) dell’IZSVe, ha testato sul campo questa possibilità, misurando la risposta anticorpale (IgG) di persone naturalmente esposte ad antigeni salivari (al34k2) della zanzara tigre tramite puntura. Grazie alla collaborazione dei centri trasfusionali, sono stati raccolti sieri di donatori di sangue in due aree del Nord-est Italia (Padova e Belluno) durante due diversi periodi di tempo: a maggio, quando l’esposizione alla zanzare tigre è nulla o bassa, e a settembre/ottobre dopo la stagione estiva, al termine quindi del periodo di massima esposizione.
L’analisi dei campioni raccolti ha evidenziato che i livelli di anticorpi anti al34k2 (antigene salivare) sono effettivamente aumentati dopo il periodo estivo ed erano più alti a Padova rispetto a Belluno, confermando la più lunga storia di colonizzazione della zanzara tigre nella città di Padova rispetto a Belluno. Infatti i dati raccolti nel padovano evidenziano anche una riduzione della risposta anticorpale all’aumentare dell’età, cioè in generale ci si “abitua” a convivere con la zanzara tigre.
Questo studio fornisce un’indicazione convincente che la produzione di anticorpi specifici verso l’antigene salivare al34k2 della zanzara tigre può essere considerata un indicatore affidabile per rilevare e monitorare l’esposizione umana all’insetto. La gestione delle arbovirosi si arricchisce così di uno “strumento sierologico” per migliorare l’efficacia degli studi epidemiologici e delle misure anti-vettori impiegati per combattere la zanzara tigre.
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