La peste suina africana (PSA) rappresenta una minaccia per la salute animale e l’industria suinicola. La gestione di questa malattia epidemica, in Italia come in Europa, presenta molteplici livelli di complessità, connessi tra le altre cose alla resistenza del virus, all‘eterogeneità dell’allevamento suinicolo, nonché al fatto che le due popolazioni recettive, il maiale domestico e il cinghiale selvatico, fanno riferimento a portatori di interesse differenti che non sempre comunicano tra loro – si pensi, ad esempio, a suinicoltori e veterinari da una parte, e a mondo venatorio ed enti di gestione faunistica dall’altra.
Per contribuire a fornire una risposta efficace a questo rischio emergente, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ha avviato nel 2021 il progetto di ricerca “PSA-PRINCE” (RC IZSVE 10/21), finanziato dal Ministero della Salute, sulla prevenzione e la gestione della peste suina africana a partire dal punto di vista degli stakeholder del Friuli Venezia Giulia e del Veneto.
Il progetto, che si concluderà alla fine dell’anno, mira ad indagare il livello di consapevolezza sulla malattia e a creare momenti di confronto e condivisione, al fine di costruire un network di attori in grado di gestire la PSA in maniera coordinata ed efficace.
Le scienze sociali per lo studio della percezione del rischio
Un elemento chiave del progetto è il ricorso a metodologie di ricerca sociale. Attraverso tecniche qualitative e quantitative, come focus group, interviste narrative e questionari strutturati, sono stati raccolti dati sulle percezioni e sui comportamenti di diversi gruppi di stakeholder nelle due regioni. Questi metodi consentono infatti il coinvolgimento attivo dei partecipanti e un’analisi approfondita delle diverse prospettive e delle complesse dinamiche che caratterizzano la gestione della PSA.
In questa prima fase del progetto sono stati coinvolti medici veterinari, personale della vigilanza faunistica, allevatori e cacciatori, mentre nei prossimi mesi è previsto l’allargamento del tavolo di confronto anche alle amministrazioni locali e regionali, per identificare e discutere modalità comunicative e strategie operative condivise fra tutti gli attori istituzionali.
Il punto di vista di allevatori e cacciatori
Importanza delle misure di biosicurezza
L’analisi dei dati finora raccolti ha fornito un quadro della percezione del rischio da parte di allevatori e cacciatori caratterizzato da un elevato livello di attenzione e di preoccupazione, e dalla consapevolezza che questa non sia solo una questione di salute animale, ma anche un problema che può influenzare negativamente l’economia e la dinamica di popolazione del cinghiale.
Allevatori e cacciatori riconoscono l’importanza fondamentale delle misure di biosicurezza: dichiarano di avere fiducia in tali misure, considerate il principale strumento per impedire alla PSA di entrare in allevamento, anche se la loro applicazione non è ancora del tutto omogenea all’interno delle diverse tipologie aziendali.
Mentre gli allevamenti più grandi e strutturati risultano essere meglio attrezzati per implementare tali misure, gli allevamenti più piccoli e quelli a conduzione familiare dichiarano di avere maggiori difficoltà, legate in particolare ai costi richiesti dalla normativa per l’adeguamento delle strutture. Anche i cacciatori dichiarano di conoscere e rispettare le misure di biosicurezza previste per la loro attività, sottolineando la loro attenzione nell’applicare comportamenti corretti, in particolar modo nel caso di ritrovamenti di carcasse di cinghiale.
Il cinghiale come serbatoio della malattia
In Europa, i cinghiali rappresentano il principale fattore di mantenimento e uno dei fattori di diffusione della PSA; per questo gli allevatori e in particolare i cacciatori esprimono preoccupazione per l’incremento delle popolazioni di cinghiali nei territori del Triveneto e per la loro gestione.
I cacciatori sono consapevoli di avere un ruolo importante nella sorveglianza passiva in quanto osservatori sul campo, “sentinelle del territorio”; si dichiarano in grado di percepire i cambiamenti della natura e del comportamento animale, e di contribuire attivamente a prevenire la diffusione della malattia mediante l’applicazione di norme igienico sanitarie durante l’attività venatoria.
Gli allevatori, pur ritenendo che le misure di biosicurezza permettano di limitare il contatto tra selvatici e suini, ritengono che l’elevata presenza del cinghiale implichi una maggiore probabilità di introduzione della malattia in allevamento tramite mezzi di trasporto, operatori e tecnici esterni.
Collaborazione nelle attività di gestione della malattia sul territorio
Oltre alle istituzioni competenti nella gestione sanitaria come l’IZSVe, le ASL e le Regioni, gli stakeholder concordano sul fatto che tutti i cittadini a vario livello abbiano la responsabilità di contribuire nel limitare la diffusione della PSA o di gestirla in modo corretto. Gli allevatori vorrebbero poter ricevere informazioni aggiornate e dettagliate sulla malattia attraverso canali informativi efficaci e facilmente accessibili.
I cacciatori sottolineano l’importanza di creare momenti di aggiornamento e di collaborazione con gli enti preposti in materia di prevenzione, e di progettare sistemi di allerta rapidi e di monitoraggio fruibili da parte di tutta la cittadinanza.
Impatti e prospettive future
Il progetto si sta rivelando utile per la comprensione e la gestione della PSA in Italia. Già dai risultati ottenuti fino ad ora è stato possibile individuare numerosi elementi di coerenza, ma anche alcune incongruenze nella percezione dei diversi portatori di interesse. Rinforzando i primi e intervenendo per meglio comprendere le seconde, si prevede che il progetto possa realmente strutturare basi più solide per la formulazione di strategie preventive efficaci e per la creazione di una rete di collaborazione tra le parti coinvolti. Ciò è stato possibile grazie all’approccio multidisciplinare e all’attenzione alle dinamiche sociali e culturali associate alla percezione del rischio.