L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) hanno pubblicato il risultato della valutazione del rischio relativa ai casi di salmonellosi correlati al consumo di latte in polvere per neonati prodotto dal gruppo Lactalis.

I primi episodi risalgono ad agosto 2017 e a oggi si sono registrati 39 casi in bambini di età inferiore ad un anno (37 in Francia, 1 in Spagna ed 1 in Grecia). La causa dell’infezione è stata identificata in Salmonella Agona, un sierotipo di Salmonella di non frequente isolamento, che in questo caso presenta delle caratteristiche biochimiche atipiche.

La comunicazione nel sistema rapido di allerta europeo (RASFF) è stata lanciata lo scorso dicembre, dopo che le autorità sanitarie francesi hanno notato un incremento dei casi di salmonellosi da Salmonella Agona, e di conseguenza sono state attivate le indagini epidemiologiche che hanno portato a identificare nel latte in polvere di marche diverse, ma tutte prodotte dal gruppo Lactalis, la fonte dell’infezione. È stato quindi attivato il richiamo dei lotti incriminati. Tali lotti risultano essere stati venduti in 13 Paesi europei (fra cui non figura l’Italia) e in 54 Paesi extra-europei.

“Si tratta di un sierotipo di Salmonella che non viene frequentemente isolato nell’uomo, più spesso correlato alla contaminazione dei mangimi” – è il commento di Antonia Ricci, direttrice del Dipartimento di sicurezza alimentare dell’IZSVe e chair del Panel Biohaz dell’EFSA. “In questo caso, peraltro, il ceppo isolato presenta caratteristiche biochimiche atipiche (non produce H2S) che possono averne ritardato l’identificazione da parte dei laboratori coinvolti. È interessante osservare che lo stesso sierotipo di Salmonella era stato causa di due epidemie legate al consumo di latte in polvere prodotto dalla stessa ditta nel 2004-2005.

La presenza di Salmonella in prodotti come questo, sottoposto a trattamento con temperature elevate, fa pensare alla presenza del patogeno a livello ambientale nello stabilimento e a una ricontaminazione del prodotto successivamente al trattamento termico stesso. Potrebbe trattarsi di un ceppo con particolari caratteristiche di persistenza, come si osserva sempre più frequentemente negli stabilimenti di produzione degli alimenti, e che risultano particolarmente difficili da debellare perché resistono anche ai disinfettanti e a condizioni ambientali sfavorevoli.

Un filone di ricerca su cui anche l’IZSVe sta lavorando da tempo, al fine di comprendere quali siano i meccanismi responsabili di queste resistenze e per poter studiare contromisure efficaci.

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