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Alcune ricerche hanno evidenziato la possibilità dell’escrezione del virus di Schmallenberg attraverso lo sperma di toro. Per questo i paesi extra-comunitari stanno imponendo sempre più frequentemente restrizioni all’importazione di materiale seminale bovino.

Negli ultimi 15 anni le malattie infettive trasmesse da vettori sono un problema sanitario crescente per gli allevamenti europei.

Il virus di Schmallenberg (SBV) ne è un esempio: si tratta di un virus che colpisce i ruminanti e che può provocare in questi animali sintomi principalmente a carico della sfera riproduttiva (aborti,  malformazioni nei neonati). Il virus è stato isolato per la priva volta in Germania nell’autunno 2011 e identificato in seguito in molti Paesi europei, tra i quali l’Italia.

Studi scientifici hanno accertato che il virus viene trasmesso durante la gravidanza dalla madre al figlio attraverso la placenta, oppure da un animale all’altro attraverso insetti vettori (piccoli moscerini del genere  Culicoides).

Dati emersi da alcune ricerche sul virus e su virus analoghi (come quello della Bluetongue) hanno suggerito un ruolo dello sperma nella trasmissione orizzontale. In particolare alcune ricerche hanno evidenziato la possibilità dell’escrezione del virus attraverso lo sperma di toro, confermando la sua presenza anche nel seme lavorato.

Individuare il ruolo del materiale seminale nella diffusione del virus è importante, non solo per ragioni sanitarie ma anche economiche: i paesi extra-comunitari stanno imponendo infatti sempre più frequentemente restrizioni all’importazione di materiale seminale bovino, richiedono una certificazione sanitaria sui lotti di seme importati.

La ricerca IZSVe

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L’IZSVe ha condotto un progetto di ricerca per valutare l’esecrezione del virus nello sperma dei bovini, valutare il rischio di fecondazione artificiale utilizzando il seme infetto e validare i protocolli diagnostici su questa matrice.

L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ha condotto un progetto di ricerca (RC IZSVE 06/12), finanziato dal Ministero della Salute e realizzato in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (IZSLER) e il Friedrich-Loeffler-Institut (FLI, l’istituto nazionale tedesco per la diagnostica veterinaria ed il benessere animale), con i seguenti obiettivi:

  • valutare l’escrezione del virus di Schmallenberg nello sperma dei bovini durante la fase di infezione acuta e nelle fasi successive;
  • valutare il rischio della fecondazione artificale effettuata utilizzando il seme infetto;
  • validare l’affidabilità di protocolli diagnostici sulla matrice seminale realizzati basati su tecniche di biologia molecolare (PCR).

La ricerca si è basata sull’infezione sperimentale di 4 tori e la fecondazione artificiale di 4 vacche con il seme lavorato (pailettes) prelevato dai tori infetti. La presenza del virus nel seme dei tori e negli animali fecondati artificialmente è stata verificata attraverso prove di laboratorio virologiche e sierologiche.

La stalla in cui sono state effettuate le operazioni sperimentali è stata sottoposta a sorveglianza entomologica: è rimasta sostanzialmente negativa per tutto il decorso degli esperimenti; in una sola cattura si è registrato il ritrovamento di un esemplare di vettore riconosciuto per il virus di Schmallenberg. Tale reperto, ottenuto durante una prova di fecondazione delle vacche con seme infetto, non ha avuto alcuna conseguenza, dato che durante tale prova non si è avuta alcuna infezione delle vacche fecondate.

Risultati

Il progetto di ricerca ha permesso di effettuare molte osservazioni. Alcune di queste confermano alcuni risultati emersi recentemente nella letteratura scientifica sul tema:

Virus di Schmallenberg

Lo studio ha evidenziato in particolare che il virus presente nelle pailettes di seme lavorato, pur in grado di indurre infezione per inoculazione sottocutanea, non è infettante per via endouterina in vacche sottoposte a fecondazione artificiale. Questo non indica però una totale assenza di rischio.

  • i tori infettati dal virus di Schmallenberg eliminano il virus con il seme, in modo alquanto variabile in termini di tempo e titolo dell’escrezione, ma comunque raggiungendo talvolta concentrazioni virali nel seme vicine a quelle misurate nel sangue;
  • il seme lavorato (paillettes), per quanto diluito rispetto al materiale originale, contiene comunque una quantità di virus in grado di indurre infezione se inoculata in ruminanti recettivi; si tratta comunque di una concentrazione modesta, tanto che solo una percentuale dei capi inoculati va incontro all’infezione.

Lo studio ha permesso di effettuare molte osservazioni sull’escrezione del virus e sulla generazione dell’infezione. Il dato più importante indica che il virus presente nelle pailettes di seme lavorato, pur in grado di indurre infezione per inoculazione sottocutanea, non è infettante per via endouterina in vacche sottoposte a fecondazione artificiale.

Questo non indica però una totale assenza di rischio: sia perché il numero di vacche impiegate nella prova è stato ridotto, e sia perché la possibilità di generare delle condizioni di infezione simili all’inoculazione a causa di eventuali lesioni a livello endouterino che si possono creare durante la fecondazione.

Per questo il superamento delle restrizioni all’esportazione di materiale seminale imposte da parte dei Paesi importatori possono essere superate solamente confermando i risultati dello studio su un campione più rappresentativo, e attraverso la certificazione dei lotti di seme prodotto da tori sieropositivi attraverso adeguate metodiche diagnostiche di accertamento virologico.

A questo proposito il progetto di ricerca ha evidenziato la miglior sensibilità della metodica biomolecolare PCR rispetto all’isolamento su colture cellulari. In particolare, lo studio ha confermato l’affidabilità della procedura elaborata dal Friedrich-Loeffler-Institut, validata anche attraverso un ring test a livello internazionale organizzato dallo stesso istituto e a cui ha partecipato anche l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie.

Foto in evidenza: Andy Carter / Flickr