Le aflatossine sono micotossine prodotte da diverse specie di funghi del genere Aspergillus che possono essere presenti negli alimenti e nei mangimi per gli animali, e di qui passare nel latte e suoi derivati. Animali come bovini o ovi-caprini in lattazione, se vengono esposti a mangimi contaminati da aflatossina B1 possono espellere la sostanza nel latte, attraverso il suo metabolita, l’aflatossina M1, che può quindi essere trasferita anche all’uomo mediante la dieta. L’Unione Europea ha fissato un limite massimo di 0,050 μg/kg (un microgrammo equivale a un miliardesimo di kg) per il latte, mentre non è fissato un limite unico e specifico per gli alimenti derivati, come yogurt e formaggi.

Per valutare il livello di contaminazione da aflatossina di un prodotto caseario è imprescindibile disporre di un metodo analitico accurato e preciso. I ricercatori della SCS2 – Chimica dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno messo a punto un metodo analitico innovativo di estrazione e quantificazione di aflatossina M1 dal formaggio, che è al tempo stesso rapido, accurato e soprattutto green. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Food Control.

Il problema di rilevare l’aflatossina M1 nei formaggi

Durante il processo di produzione del formaggio, l’aflatossina M1 eventualmente presente nel latte può interagire con la caseina e finire nella cagliata. Per valutare il livello di contaminazione da aflatossina di un prodotto caseario è imprescindibile disporre di un metodo analitico accurato e preciso. Mentre nel caso del latte è disponibile una metodica standardizzata ISO per la determinazione del contenuto di aflatossina M1, così non è per il formaggio.

Da dove nasce il problema della definizione del limite massimo dell’aflatossina M1 nel formaggio? E come può essere superato? Durante il processo di produzione del formaggio (caseificazione) l’aflatossina M1 eventualmente presente nel latte può interagire con la caseina e finire nella cagliata a concentrazioni variabili, che dipendono da molteplici fattori come per esempio il tipo di formaggio, la tecnologia utilizzata, la lavorazione, la stagionatura e altri ancora.

In assenza di un limite unico fissato per legge, è l’operatore del settore alimentare che deve fornire tutte le informazioni relative al prodotto e al processo specifico utilizzato, in particolare i fattori specifici di concentrazione o diluizione, affinché l’autorità competente in fase di controllo ufficiale possa definire il livello di rischio per il consumatore e valutare dunque la conformità o meno del prodotto. Ma non sempre queste informazioni sono complete e pertanto la classificazione del rischio può essere anche fatta sulla base dei fattori indicati dal Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare (Parere Ministero della Salute, 24 febbraio 2021).

Per superare le criticità connesse alla variabilità delle informazioni disponibili e rafforzare il sistema di controllo delle aflatossine, è necessario disporre di metodiche analitiche standard affidabili che permettano di valutare i livelli di contaminazione per una corretta stima del rischio. Mentre nel caso del latte è disponibile una metodica standardizzata ISO per la determinazione del contenuto di aflatossina M1, così non è per il formaggio.

La metodica sviluppata dall’IZSVe

Ricercatori IZSVe hanno sviluppato un metodo analitico che da un lato è risultato efficace per rilevare la presenza di aflatossina M1 nei formaggi, dall’altro evita l’uso di solventi  dannosi per l’ambiente. L’obiettivo è quello di arrivare a farne un metodo di riferimento per la rete dei laboratori nazionali, anche grazie alla collaborazione con l’ISS e il Centro di referenza nazionale per la qualità del latte bovino (IZSLER).

Nel tempo sono stati proposti una serie di metodi quantitativi da parte di gruppi di ricerca, che fossero da un lato accurati ed efficaci, dall’altro in grado di ridurre l’impiego di sostanze potenzialmente tossiche utilizzate nel pre-trattamento dei campioni, vale a dire i solventi che consentono di estrarre l’analita, eliminare gli interferenti dal campione di formaggio e rilevare le sostanze residue, come appunto le aflatossine.

“Solitamente l’estrazione e la quantificazione dell’aflatossina M1 nei formaggi richiede l’uso di solventi organici e clorurati, che possono essere dannosi per l’ambiente” spiega Giancarlo Biancotto, supervisor dello studio e dirigente del Laboratorio farmaci veterinari e ricerca all’IZSVe. “Come alternativa, abbiamo utilizzato una soluzione acquosa di sali citrati, che si è dimostrata non solo efficace ma anche a minor impatto per l’ambiente.

Questo metodo è stato validato internamente per i formaggi a pasta dura e molle, e al momento lo stiamo verificando mediante uno studio interlaboratorio per valutarne precisione, accuratezza e robustezza, finora con ottimi risultati preliminari. L’obiettivo è quello di arrivare a farne un metodo di riferimento per la rete dei laboratori nazionali, anche grazie alla collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e il Centro di referenza nazionale per la qualità del latte bovino dell’IZS di Lombardia ed Emilia Romagna”.

Nei prossimi mesi si tenterà di allargare lo studio per la verifica dei fattori di concentrazione su una più ampia varietà di campioni di formaggio e a partire dal latte naturalmente contaminato, sapendo di poter utilizzare un metodo accurato e green per la determinazione quantitativa dell’aflatossina M1.

Leggi l’articolo scientifico su Food Control »